Sugli scaffali niente piu’ latte di soia, caciotta di tofu o yogurt vegetale. La Corte di giustizia Ue ha stabilito che “I prodotti puramente vegetali non possono, in linea di principio, essere commercializzati con denominazioni, come ‘latte’, ‘crema di latte’ o ‘panna’, ‘burro’, ‘formaggio’ e ‘yogurt’, che il diritto dell’Unione riserva ai prodotti di origine animale”. La Corte si e’ espressa su un caso sollevato in Germania che vede opposte la societa’ TofuTown, produttrice e distributrice di alimenti vegetariani e vegani con denominazioni quali ‘burro di tofu’ e ‘Veggie-Cheese’, e la Verband Sozialer Wettbewerb, associazione tedesca che si batte contro la concorrenza sleale. Lo stop ai prodotti vegetali, che arriva in una fase di vorticoso aumento delle vendite (+83,3% nel 2016 rispetto al 2013 e un giro d’affari stimato in Italia di 198 milioni di euro) fa naturalmente esultare Assolatte. “Finalmente si e’ pronunciata anche la Corte di Giustizia Ue”, afferma all’ANSA Massimo Forino, direttore dell’associazione confindustriale che rappresenta le industrie italiane operanti nel settore lattiero caseario. Forino osserva come il regolamento Ue gia’ da tempo prevedeva l’uso riservato delle denominazioni latte e derivati per i prodotti di origine animale ma questa “e’ un’importante conferma”. “Il problema – aggiunge Forino – e’ che il mondo dei prodotti vegetali si vuole impossessare di nomi che non sono loro”. Assolatte sottolinea peraltro che il regolamento Ue fa eccezione per le denominazioni “latte di mandorla”, “latte di cocco” e “burro di cacao”, “perche’ sono denominazioni tradizionali e non hanno nulla di evocativo”. Mentre un altro problema, prosegue Forino, sorge con la definizione di ‘alternativi’ o ‘sostitutivi’ del latte e formaggi che si danno i prodotti vegetali perche’ “sono veramente altri prodotti, con diversa composizione e valori nutrizionali del tutto diversi e non confrontabili”. Anche Coldiretti e i Giovani di Confagricoltura plaudono al pronunciamento della Corte Ue. Per Coldiretti, “la confusione generata dall’uso della parola latte per bevande vegetali inganna i consumatori e fa chiudere le stalle”. Secondo l’organizzazione agricola il 7,6% degli italiani basa la sua dieta su questi prodotti cosiddetti ‘sostitutivi’ di latte e formaggi per via delle intolleranza e delle ‘fake news’ che danneggiano latte e latticini. Per i giovani imprenditori di Confagricoltura, “Non e’ giusto – afferma il presidente Raffaele Maiorano – utilizzare nomi conosciuti per indicare prodotti che latte o carne non ne contengono. Logica vorrebbe che lo stesso principio fosse applicabile anche a tutti i prodotti la cui denominazione e’ riferibile alla loro origine animale, eliminando definizioni improprie come salame vegano, spezzatino di soia, bistecca di tofu”. Pure il vicepresidente della commissione agricoltura dell’Europarlamento, Paolo De Castro, chiede ora di “fare chiarezza su bresaola e mortadella ‘vegan’.

“L’avanzata dei prodotti 100% vegetali è inarrestabile – afferma Paola Segurini, responsabile Lav area scelta vegan – e ha caratteristiche concrete: non la fermeranno un nome o un’etichetta o una sentenza. La gente ormai è sensibilizzata e cosciente: conosce vantaggi etici, salutari e di gusto dei cibi vegan e sa leggere benissimo, anche tra le righe. Il consumatore sa benissimo cosa vuole – prosegue Segurini – Non è certo l’uso di termini che per tradizione indicano un alimento di origine animale a trarlo in inganno, perché l’aumento dei consumi di alimenti 100% veg è frutto di un’aumentata consapevolezza di cosa c’è dietro gli alimenti di origine animale, in termini di sofferenza e impatto ambientale, oltre che di potenziali conseguenze sulla salute. L’organizzazione di categoria esulta per la sentenza, dimenticando apparentemente come tra gli associati ci siano tanti agricoltori ai quali la sentenza europea non farà poi così piacere”.